Centoventesimo ed ultimo doge della Repubblica di Venezia, Ludovico Manin (1725-1802) è sepolto nella cappella di famiglia della chiesa di Santa Maria di Nazareth, all’interno della cappella della Sacra Famiglia.
Di seguito riportiamo il suo testamento.
Testamento del Nobiluomo Lodovico Cavalier Manin
Sia lodata la Divina Maestà, oggi primo ottobre 1802 in Venezia nella casa di San Salvador, testamento scritto e sottoscritto da me Lodovico Manin fu Alvise. Le vicende da me patite nel corso degli ultimi anni, e soprattutto quelle che hanno colpito la mia amatissima patria, mi hanno offuscato, qualunque fossero, le facoltà intellettuali e mi costringono a modificare le disposizioni date con un precedente testamento.
Accetto anzitutto con la dovuta rassegnazione cristiana quanto ha disposto l’imperscrutabile divina volontà, anzi la voglio ringraziare per avermi tolto da un incarico, che ho sempre considerato alienante. Pensando all’incertezza del punto estremo detta vita, ritengo di dover provvedere ad ogni cosa finchésono sano di mente e con l’animo tranquillo.
Raccomando l’anima alla misericordia di Dio ed alla Vergine Maria, mia protettrice particolare. Prego San Giuseppe e tutti i Santi a voler farsi intercessori verso la bontàdivina perchésiano perdonati i miei peccati passati e perchéaltri non ne commetta nei pochi giorni che mi restano da vivere e possa quindi assieme a loro godere la felicitàeterna, ringraziare e benedire Dio nei secoli dei secoli.
Desidero essere sepolto con la minor pompa possibile, e che non si facciano esequie solenni per non rinnovare il ricordo alla popolazione delle tragiche vicende sofferte. Non siano fatti discorsi volgari, non siano fatte intervenire le confraternite con le solite cappe, ma siano piuttosto distribuite loro delle elemosine, certamente più utili e probabilmente più gradite. I soldi risparmiati con una cerimonia modesta siano usati per far dei corredi a ragazze che si devono sposare, o si vogliono far monache, abitanti sia nella mia parrocchia di San Salvador a Venezia, che nei paesi dove ho delle proprietà, (per la celebrazione delle messe di suffragio, lascio libertà ai miei eredi di ordinarne per quel numero che crederanno giusto, destinando invece le offerte ad opere di carità). Non stabilisco in proposito nulla di preciso, perché il merito sia tutto loro. Sarebbe facile che io facessi disposizioni generose, ora che sto per lasciare ogni cosa, perciò ai suffragi ho già provveduto in precedenza.
I miei vestiti siano dati per due terzi al cameriere personale, per un terzo allo staffiere e qualcosa sia dato anche ai gondolieri di casa, nella speranza che si ricordino di me nelle preghiere. Il patrimonio familiare è vincolato in tre fondazioni, chiamate la fraterna, la primogenitura e la commissaria, e perciò non posso dare alcuna disposizione perché tutto è già stabilito dalle norme in caso di mia morte. Posso però dar disposizione per la parte di mia spettanza e voglio che vada a formare il capitale di un istituto di assistenza sociale, gli eredi ed esecutori testamentari consegnino centomila ducati ad un ufficio governativo preposto alla specifica materia. La mia spettanza, attualmente investita in titoli di stato, assieme agli interessi che matureranno dopo investimenti accorti e prudenti, sia conteggiata secondo le quotazioni medie del mercato finanziario.
L’ufficio incaricato destinerà la somma in parte all’assistenza di pazzi furiosi ed in parte all’assistenza di ragazzi e ragazze abbandonati dai genitori, o
di famiglia povera. Questi saranno accolti in un convitto finché non troveranno un lavoro, o una diversa sistemazione. Ai ragazzi dimessi sarà quindi assegnato un sussidio di venti ducati per ciascun, mentre alle ragazze ne saranno dati cinquanta per farsi una dote. Gli amministratori governativi dovranno trovare i locali del convitto, cercandoli preferibilmente presso strutture già esistenti onde evitare maggiori spese. Li arrederanno in forma adatta atto scopo, e per queste, i miei eredi sborseranno diecimila ducati entro un anno dalla mia morte. Supplico ali stessi amministratori di usare per i pazzi furiosi ogni sentimento di pietà e di carità e di tentare con ogni maniera di farli guarire. Li supplico ancora perché istruiscano i ragazzi nelle cose di religione ed insegnino un mestiere a quelli di Venezia, oppure trovino un lavoro presso qualche contadino a quelli di campagna.
Mi auguro che l’istituto trovi l’appoggio di altri benefattori, per farlo diventare sempre più utile atta società. Miei eredi ed esecutori testamentari siano i nipoti Lunardo, Piero e Giovanni, figli del mio povero fratello Piero e della nobildonna Caterina Pesaro. Potendo io disporre di alcuni redditi vitalizi lasciati da nostri antenati, ad essi aggiungo altri quattrocento ducati all’anno tratti dalle mie spettanze.
Nel caso che mia cognata decidesse di risposarsi, cosa che mi auguro non succeda, oltre a riavere la dote che aveva portato, le siano riconosciuti mille e duecento ducati con versamenti semestrali e le siano pure date in una sola volta quattrocento once d’argento. La stessa quantità d’argento sia data alle mie due sorelle, le quali continueranno anche a ricevere ogni anno cinquanta zecchini, come ero solito foro regalare per le feste di Natale.
Ai detti eredi ed esecutori lascio tutto quello che qui non descrivo dettagliatamente di capitali, di beni immobili e mobili, di argenti, di gioielli, di titoli e d’altri generi. Tutto sarà vincolato ad un fidecommesso intestato ai foro figli maschi nati di legittimo matrimonio con una donna nobile. Se qualcuno dei discendenti dovesse contrarre matrimonio con una donna non nobile, sarà escluso dal fidecommesso. Resterà escluso anche quello che dovesse intraprendere azioni legali contro gli altri congiunti per questioni di eredità, cosicché il patrimonio resti a compieta disposizione di coloro che non agiranno legalmente.
Raccomando vivamente ai nipoti di rispettare ed onorare fa loro madre, di mantenerla con decoro, di vivere in fraterna armonia, di procurare che la nostra casa resti gradita al nuovo governo che ci regge secondo le disposizioni detta Divina Provvidenza, come è sempre stata benvoluta sotto il precedente. Rispettino le leggi umane e divine. Usino i loro averi anche per aiutare i poveri. Così facendo, oltre a raggiungere lo scopo principale, che è di obbedire alle leggi detta nostra religione, incontreranno l’approvazione degli uomini dabbene, cosa che tutti gli onesti devono augurarsi di meritare in questo mondo.
Queste sono le mie ultime volontà e come tali le sottoscrivo. Venezia 23 ottobre 1802.